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TIMELESS - 06. CLAUDIO COCCOLUTO

TIMELESS - 06. CLAUDIO COCCOLUTO

SILENZIO: PARLA (E SUONA) CLAUDIO COCCOLUTO

Claudio Coccoluto: in Italia, se dici “dj”, è inevitabile pensare subito a lui. Praticamente, un monumento. Ma come si arriva ad esserlo? Si arriva perché sei stato uno dei primissimi a farlo, certo; quando Claudio ha iniziato, la professione di dj praticamente neanche esisteva, era un hobby come tirare di fionda contro le lucertole o fare a gara a chi mangia più panini in dieci minuti, cose così. Di sicuro non era un lavoro. Di sicuro non era qualcosa che dava prestigio (…come invece oggi, in cui se non vuoi fare il calciatore vuoi fare il dj – dimenticando che in entrambi i casi, soprattutto nel primo, ci vuole un feroce allenamento lungo anni).

Poi: si diventa monumento se dimostri di essere bravo. Se la gente inizia a volerti. A chiamarti. A cercarti. A seguirti. E Claudio non solo è riuscito - insieme a un pugno di altri pionieri - a rendere la professione di dj qualcosa di "serio" in tempi non sospetti, in epoche in cui non veniva presa come tale, ma fin da subito sulle ali del suo talento unico e sofisticato è diventato un'autentica superstar. Fino ad essere il simbolo della prima stagione d’oro del clubbing in Italia, quella degli anni ’90, in cui non era difficile trovare il nome “Claudio Coccoluto” nelle line up del sabato o del venerdì di due, tre discoteche nella stessa sera (e avrebbero potuto essere il triplo, dal numero delle richieste).

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Qui però entra in gioco un’altra caratteristica di Coccoluto. Avrebbe potuto pensare solo a massimizzare i profitti e a spremere il limone finché possibile, senza farsi troppe domande e restando nel suo. Beh: lui non è uno che resta nel suo. Anno dopo anno, esperienza dopo esperienza, ha iniziato ad usare sempre più la sua profonda intelligenza e capacità d’analisi per prendere posizioni forti a favore del clubbing e, in molti casi, all’interno del clubbing. Per il pubblico generalista è diventato “il” dj, perché era quello che compariva nei dibattiti televisivi mainstream (chiamato a rappresentare i “giovani”: in Italia, si sa, i “giovani” sono ancora visti troppo spesso come una mandria bovina nel recinto del divertentismo, quanti danni ha fatto questa visione…) e lì sorprendeva tutti per l’educazione, la proprietà di linguaggio, l’incisività delle analisi; e in più era anche quello che ad un certo punto ha iniziato a comparire nelle giurie di Sanremo, sì!, Sanremo, quando il Festivalone voleva dimostrare di stare al passo coi tempi, pronto a dialogare coi “giovani” ( ci risiamo…) e iniziando quindi a chiamare “un dj” da mettere in giuria. E il dj non poteva che essere Claudio.

È una fesseria però, quella dei “giovani”. Perché proprio persone come Coccoluto hanno dimostrato progressivamente con gli anni e dimostrano ogni giorno che la club culture è un pozzo di storie, di legami, di conoscenze, di rimandi colti, di esplorazioni intellettuali, di bibliografie, di sofisticati recuperi storici. Oggi che (purtroppo) la figura del dj è tornata a svilirsi agli occhi del grande pubblico, tornando ad essere un semplice aizza-folle che gira a caso dei bottoni (solo che prima era un pazzo disadattato, ora è un role model da inseguire), abbiamo bisogno più che mai di Claudio Coccoluto. Perché non è più necessario combattere per far sapere che la figura del dj “esiste” artisticamente; no, ora serve combattere per (ri)affermarne i valori culturali più importanti e profondi.

Lui lo sa. Non gli interessa più tanto fare due, tre date a sera. Non gli interessa comparire in televisione. Non gli interessa l’aspetto più rutilante del circo del clubbing. Gli interessa la qualità. Gli interessa trasmettere lo spessore culturale – e l’emozione quasi esistenziale – del “mettere dischi per far ballare la gente”. I suoi set sono diventati sempre più ricercati, raffinati. La sua presenza si è fatta sempre più carismatica: sia quando si tratta di intervenire nelle discussioni interne alla scena, sia quando si tratta di comunicare con l’”esterno”.

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Accidenti, se c’è bisogno di personaggi così. Perché assolutamente è il caso di raccontare le stelle in ascesa, le scene emergenti, i nuovi dominatori. Ok. Ma poi ad un certo punto ti rivolgi a Coccoluto, o anche solo lo senti suonare, e lì allora zitti tutti: parla un maestro. Che dà ancora la paga a quasi tutti. Lo potete capire voi stessi ascoltando il set pazzesco che ha preparato per Timeless, in una location – la Terrazza Molinari, giocavamo in casa – che ci ha permesso di “volare” fra i tetti di Roma. Un set dove con sofisticatissima scienza si alternano, in maniera quasi impercettibile, tempi pari e dispari (chi sta leggendo ed è un dj, sa la difficoltà tecnica di una scelta del genere…); dove si passa da architetture spezzate a martelli feroci, con una naturalezza quasi irreale; dove si esplorano le nicchie più raffinate del clubbing, fuggendo dalle facili hit e dalle soluzioni ruffiane; dove l’unica hit potenzialmente ruffiana è suonata alla fine, ma arriva alla fine di un viaggio talmente qualitativo, ricercato ed imprevedibile che l’edit speciale di “Personal Jesus” dei Depeche Mode fa proprio da “corona” finale.

Roma: doveva essere speciale, in questo viaggio targato Timeless tra le meraviglie d’Italia, e così è stato.

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